Di acqua, di sete e di movimento - Il cielo di mia madre di Lara Carbonara
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Il cielo di mia madre
di Lara Carbonara
📚 Articoli Liberi, 2024
📸 In copertina: fotografia di Odilia Liuzzi
Inizia il tuo viaggio di lettura
Doloroso ed emozionale, il libro “Il cielo di mia madre” di Lara Carbonara, pubblicato da Articoli Liberi, si presenta così: come una successione di immagini sospese, sentimenti radicati, voci intrecciate.
Parole che sembrano graffi e pennellate che affondano come lame. Una raccolta di quattordici storie intrecciate tra loro dall’essere in movimento: il perdersi nei ricordi diventa sopravvivenza alla deriva, superamento della in-stabilità, attraversamento delle ferite, (non)ritrovarsi in un lieto fine. Una sovrapposizione di colori immensi, totali, ostinati. Ogni storia rappresenta una storia di silenzi, respiri, paure, ossessioni che rimbombano emotivamente senza seguire correnti. I personaggi si trovano su una nave norvegese, che diventa pretesto per scandagliare momenti e ricordi cruciali della vita dei personaggi. L’acqua infatti diventa spunto di riflessione e di introspezione durante la traversata. Il tema portante dei racconti è infatti il viaggio: muoversi in avanti per il desiderio di ritornare a se stessi; non a caso il concetto di νόστος, il viaggio del ritorno, ha la stessa radice di nostalgia, sentimento che impregna ogni singola storia: nostalgia per un amore non vissuto, una vita perduta, un amore smarrito, un amore mai nato.
Movimento, passaggio, memoria, solitudini, contraddizioni. Qualcosa di vulnerabile, certamente, come la vita, come il senso di precarietà che la narrazione, mescolandosi alle ferite può provocare in chi crea. L’autrice ci spinge senza paracadute nel bel mezzo del desiderio di superamento del dolore. Sentimento che si disfa, si frammenta, si scompone e si ricompone in inevitabili flussi interiori. I pensieri vengono narrati infatti come una mappa non lineare di eventi, con un linguaggio intriso di coordinate geografiche dell’anima: i dialoghi spesso si intrecciano alle riflessioni tanto da mescolarsi fino a perderne i contorni. Riflessioni a voce alta o dialoghi muti che mirano alla salvezza: arrivare per ricominciare. Sempre. Narrazioni di viaggio e nostalgia: sono tutte qui e sono sotto un unico cielo.
👤 Nota sull’autrice
Lara Carbonara attualmente collabora con la casa editrice Articoli Liberi, insegna discipline umanistiche, colleziona parole. Da piccola sognava di diventare scrittrice. Continua a sognarlo.
✍️ Estratti dal libro
“Infine, il vento soffiò dolcemente e fece rinsavire Adriana. Il mattino profumava di deserto e di melograno, di timo e rosmarino estivi. Ettari di significato a regalare una nuova prospettiva a valli indiavolate, rilievi generosi, burroni improvvisi. Aveva capito cosa avrebbe dipinto nei prossimi anni. Avrebbe dipinto le donne che ballano le donne che perdono la simmetria le donne che hanno mille suddivisioni le donne che non si adeguano. Adriana si guardò intorno cercando un ordine tra canne giunchi e ginestre e si convinse che non avrebbe mai potuto amare tanta bellezza. Sarebbe rimasta ubriaca di dolore.”
“Anche ora, su quel traghetto tra i fiordi, il vento non smetteva mai di esistere. Diventava parte delle sue ossa. Lei si sentiva cullata da una specie di solitudine quando guardava le onde, aveva deciso di partire verso un luogo che le ricordasse l’Irlanda. Un posto lontano, difficile, aspro e dove l’aria odora di acqua. Aveva pensato alla Norvegia, dai pendii ripidi e dai contrasti accoglienti. Il cielo muto e nebbioso che si univa all’acqua viola.”
“Posso scivolare. Oggi non devi scivolare, devi essere forte. Anche se ti senti un po’ soffocare. Com’è possibile vivere nell’illusione di sentirsi così amate. Com’è possibile per tanti anni non dar peso alle parole urlate, ai consigli imposti, alle strette sul braccio che portano lividi. E non accorgerti che entra la notte sui fogli scarabocchiati, entra persino lì, disordinando tutto. Entra l’ombra nelle crepe come un grido, uno stridore aspro che penetra nelle pareti come umidità e le gonfia, le Il cielo di mia madre | 89 deforma, fino a farle diventare così visibili da sembrare irreali.”“Silenzio. Buio. Ore immutabili. Morire così no. Quest’uomo, il mio compagno, il mio amante. Ha voluto sgranarla così, soffocandola, l’unica vita che aveva. Non è pazzesco? Ha deciso di non avere più risposte. A furia di parlare è diventato silenzio. Io costruivo, parlavo, respiravo, immaginavo un destino insieme, e lui intanto prendeva le misure per andarcisi a schiantare, contro il destino. Non è da sciocchi illudersi. Allora dimmi, dimmi in quale sentiero sei finito. Quale nero indossi oggi. Mi ascolti? Quale luce ti hanno rubato? Mi guardi con quegli occhi sbarrati come se io sapessi dov’è che ti ho perso, quale favola non ti ho raccontato. Non andare senza dirmi dove, ti prego. Non andare senza darmi appunta mento. Non andare senza.”
“Aveva il Rodano intero che stava straripando dai suoi occhi. La bambina si era avvicinata a lei con un disegno in mano. Ce l’aveva fatta. L’aveva recuperato. La fissò a lungo, poi guardò il suo disegno. Tutte le sfumature di azzurro e blu a cera. Lo strappò e le porse una metà. Mi è avanzato un pezzo di cielo. Lo vuoi? Così non piangi più. Con la schiena dritta aveva imparato a conservare, succhiare, masticare il cielo nascosto negli occhi interrotti di sua madre. E i suoni di tutta quella violenza erano stati soffiati via; ma quando tornavano, facevano male come pagine strappate. E ora sì, lo voleva quel pezzo di cielo. Così non avrebbe pianto più.”